Cibo buono e pianeta sano…

Il terzo dei quattro incontri organizzati dall’Associazione nell’ambito del progetto Milano Smart Park#Segantini è dedicato all’agricoltura e al consumo di cibo sostenibili e al rispetto della biodiversità tanto nell’orto quanto in cucina.
Questo report è piuttosto corposo: anticipiamo un sommario degli argomenti trattati:

L’incontro, seguito da più di trenta persone, è iniziato con il prof. Mario Casari, geografo, che ci ha illustrato molto chiaramente le problematiche attuali legate alla produzione e al consumo di cibo, e ci ha raccontato l’evoluzione storica del cibo dall’antichità greco-romana ad oggi.

Consumiamo di più di quanto la terra produce?  C’è cibo per tutti?

Con queste due domande, Mario ha introdotto il tema dell’attuale situazione del rapporto fra produzione e consumo di cibo nel mondo: cioè, la sostenibilità alimentare.
Il dato di partenza è che nel nostro pianeta vivono 7.6 miliardi di persone,  si produce cibo per 12 miliardi… eppure, più di 800 milioni soffrono ancora la fame (FAO). E allo stesso tempo ogni circa un terzo di tutto il cibo prodotto in un anno – 1,3 miliardi di tonnellate di cibo– viene sprecata.
      Il problema non è solo nella distribuzione, come si tende a pensare. Per capire come stanno davvero le cose, ci spiega due concetti molto importanti: la biocapacità e l’impronta ecologica.

  • La biocapacità è la quantità di ettari produttivi di risorse utili per la nostra vita (acqua pulita, aria, terreni salubri, foreste, aree di pesca, riparo) disponibili per ogni persona.
  • L’impronta ecologica invece si riferisce al consumodi terra fertile in ettari per ognuno di noi (foreste, energie, seminativo, pascolo, area edificata e area di pesca).

L’impronta ecologica è andata aumentando in continuazione dal 1960 al 2010: oggi per mantenere il nostro stile di vita avremmo bisogno di un pianeta e mezzo.
Se  continuiamo così, per il 2050 ce ne serviranno due!

Grafico biocapacita impronta

Nei grafici che Mario ci ha presentato, si vede chiaramente che oggi l’impronta ecologica della popolazione mondiale è molto più grande che quella della biocapacità della Terra: ogni abitante consuma una media di 2,7 ettari, mentre il pianeta può mettere a disposizione 1,8 ettari per ogni abitante. E la popolazione continua a crescere.

Ma l’impronta ecologica e la biocapacità non sono la stessa per tutte le persone in tutte le nazioni. Ad esempio, negli Stati Uniti questi valori sono 8 e 3,9 ettari, in Italia 3 e 1,1 ettari e in Gabon 2,7 e 29 ettari, rispettivamente (Footprint network).
    Ciò significa che di questi tre paesi solo il Gabon può permettersi di consumare i 2,7 ettari perché ha una biocapacità alta: quindi il Gabon involontariamente aiuta l’Italia e gli Stati Uniti che non hanno la biocapacità per mantenere il loro stile di vita.

Mario ci informa che nel 2013 tutti i paesi membri delle Nazione Unite (193) si sono impegnati a raggiugere 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals o, SDGs) per il 2030.Questi obiettivi, ognuno con i suoi target specifici, sono strettamente collegati tra loro e si occupano di:

  • salvaguardare le risorse naturali: proteggere la vita sulla terra (SDG 15) e sott’acqua (SDG 14), garantire acqua pulita e igiene per tutti (SDG 6) e prendere azioni per il clima (SDG 13);
  • promuovere lo sviluppo sociale: zero povertà (SDG 1), zero fame (SDG 2), garantire salute e benessere (SDG 3), istruzione di qualità (SDG 4), uguaglianza di genere (SDG 5), energia pulita (SDG 7), sostenibilità nelle città (SDG 11) e pace (SDG 16) e;
  • favorire lo sviluppo economico: promuovere il lavoro dignitoso (SDG 8), l’industria, l’infrastruttura e l’innovazione (SDG 9), la riduzione delle diseguaglianze (SDG 10) e la produzione e il consumo responsabili (SDG 12).

L’ultimo obiettivo (SGD 17) è costruire partnership per raggiungere gli altri obiettivi. Insomma, se raggiungiamo questi obiettivi, potremo vivere in modo sostenibile. Proviamoci!!

Furto di terra fertile – Land grabbin
Un altro fenomeno interessante da considerare nel contesto della sostenibilità è il land grabbin: paesi come Cina, Giappone, Arabia Saudita e Emirati Arabi, che non hanno abbastanza terra per produrre gli alimenti e energia sufficienti per la propria popolazione, prendono terra da altri paesi sotto forma d’investimenti, speculazione e acquisendo aziende alimentari e dei biocarburanti.

La nostra salute e quella della Terra sono legate a filo doppio
Per concludere il discorso sulla sostenibilità Mario ci spiega qual è la correlazione tra la salute umana e la produzione sostenibile, riferendosi al rapporto dello  studio di The EAT-Lancet Commission: una dieta ricca di alimenti a base vegetale e con meno alimenti di origine animale conferisce benefici sia alla salute sia all’ambiente.

Doppia piramide

Mario ci ha mostrato anche la doppia piramide dello studio della Fondazione BCFN (Barilla Center for Food and Nutrition) dove si vede sia il collegamento tra gli alimenti nelle quantità suggerite per una dieta sana e sostenibile, sia l’impatto ambientale determinato dalla produzione di questi alimenti.

La dieta proposta dallo studio consiste in un mezzo piatto di verdure e frutta e l’altra metà, del piatto, suddivisa per contributo di calorie, dovrebbe contenere cereali integrali, proteine vegetali, oli vegetali insaturi e, facoltativamente, una modesta quantità di proteine animali.
     Non c’è però ancora consenso su cosa costituisca una dieta salutare e sostenibile estesa a tutti gli abitanti del pianeta, che nel 2050 saranno 10 miliardi .
      L’energia per la vita si acquisisce attraverso il cibo. E il cibo è prodotto dall’agricoltura e quindi per sfamare tutti i 7,6 miliardi di abitanti della Terra,  e 10 miliardi nel 2050 bisognerà che la produzione di cibo sia sostenibile.
     Serve sapere quale è la nostra impronta personale: chi è interessato a calcolarla può riempire il formulario che si trova alla fine dello studio di Legambiente.

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Mario Casari“Per vivere in modo sostenibile, la nostra impronta ecologica non dovrebbe mai superare la biocapacità della Terra. Ma questo succede già oggi!

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Storia del nostro cibo

Mario Casari ci ha raccontato le ragioni geografiche e le vicende storiche che hanno dato luogo al nostro cibo italiano, considerato un patrimonio culturale: in un viaggio nel tempo e nel mondo, che riassumiamo qui di seguito abbiamo visto come gli incontri fra popoli hanno modificato le abitudini alimentari nel corso della storia.
Civiltà Greco-Romana
Domina la triade alimentare cereali, vite e ulivo,integrati con legumi, ortaggi e latticini. Questa triade alimentare al tempo aveva una connotazione divina: cereali, vite e ulivo erano donati agli uomini rispettivamente dagli dei Demetra/Cerere (nome greco/nome latino), divinità materna della Terra, Dioniso/Bacco, dio della viticoltura e Atena/Minerva (protettrice delle arti, delle città e della giustizia). La carne, distribuita gerarchicamente come simbolo dell’unità della città, si poteva mangiare solo in occasione dei sacrifici in onore di questi dei.
Civiltà europea medievale
I “barbari”. La triade vegetale grecoromana pane-vino-olio integrata con legumi, ortaggi e latticini si incontra e si scontra con la triade animale longobarda e germanica di carne (e lardo), burro(e latte), cui si aggiunge più tardi la birradelle popolazioni slave e baltiche, e sidroin Inghilterra. I prodotti della foresta, del pascolo bradoe della cacciaerano gli alimenti dei guerrieri. Nel tempo è avvenuto uno scambio che ha ristrutturato entrambe le diete: la carne viene accettata dall’Europa romana, soprattutto il maiale e pane vino e olio dai “barbari”. Si forma così un nuovo modello alimentare cristiano-romano-germanico: la cristianità insiste sul valore simbolico di pane, vino e olio,ma ammette la carne e lo strutto, derivanti dall’allevamento di maiali e bovini, pur unendola con i vegetali e il pesce.
L’Islam. L’influenza della presenza islamica sulla civiltà europea medievale contribuisce ad arricchire ulteriormente il nostro modello alimentare: da un iniziale conflitto alimentare (per gli islamici il pane è sostituito dalle focacce, e si proibisce il vino e il maiale) si passa ben presto a uno scambio di prodotti: gli arabi introducono gli agrumi(arance, limoni, cedri)lozucchero di canna, le melanzane, i carciofi, gli spinaci, il riso, la pasta e le spezie che si diffonderanno con i commerci conseguenti alle crociate.
    La cultura islamica presenta anche la caratteristica del digiuno annuale, il Ramadan e il fatto di non mangiare “carogne”: il digiuno giornaliero veniva rotto con una certa gradualità con datteri, frutta fresca e zuppe. La carneviene purificataseguendo delle procedure di macellazione: rivolgersi verso la Mecca, pronunciare «in nome di Dio», tagliare la gola e fare uscire tutto il sangue, perché è impuro. Invece, alcuni animali come il maiale e il cane sono impuri e non possono essere consumati. Le carni più consumate sono gli ovini: agnello, montone e la cacciagione: cervi, mufloni, gazzelle, lepri e conigli.
L’ebraismo. Influenza a sua volta le abitudini alimentari della civiltà europea medievale. Per gli ebrei anche il comportamento alimentare è un elemento che serve per differenziarsi dagli altri popoli. Anche qui troviamo animali puri e impuri. Sono considerati animali puriilbue, l’agnello, il capretto, il cervo (i ruminanti che hanno lo zoccolo bipartito) e i pesci con le pinne e squame, mentre quelli impuri sono: il maiale, il cammello, la lepre, il coniglio e tutti i pesci senza pinne e squame come l’anguilla, i crostacei, gamberi e molluschi. Mangiare alla giudaica, per i cristiani, è segno di buona qualità per la cura dei cibi e del gusto. Per differenziarsi da islamici e cristiani, gli ebrei si sono concentrati sulla lavorazione delle uova con miele e zucchero per i dolcie sull’allevamento delle oche e la produzione del fegato d’oca, e sulpesce salato: acciughe, sardine, aringhe, tonno sott’olio e bottarga.

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Una storia di integrazione

Questa volta sul tema dell’integrazione ha parlato Victor Edebuba, un ragazzo della Nigeria che ci da una mano nel parco grazie alla collaborazione che abbiamo con la cooperativa sociale Opera in Fiore.

Victor è venuto in Italia 4 anni fa dalla Nigeria (Imo State). Ancora non parla bene la nostra lingua, ma fra italiano, inglese e la voglia di raccontare (lui) e capire (noi) la sua storia, siamo riusciti a comunicare.
     Come tanti immigranti economici africani, è arrivato in Italia dopo un lungo percorso con diversi mezzi, fra cui tanti tratti a piedi (ci assicura che non ha pagato nulla per venire in Europa); “In Libia – ci ha detto – la situazione era molto brutta”; poi ha trovato una barca con molta difficoltà ha attraversato il Mediterraneo (“Eravamo in tanti. Io non so nuotare…”) e finalmente è sbarcato a Lampedusa.
      Sembra un ragazzo molto fortunato e molto grato all’Italia, che gli ha concesso un permesso di soggiorno e gli ha offerto un lavoro: ciò gli ha dato una certa tranquillità e serenità e lo fa sentire bene e ben accettato.
      Alle domande “Come ha contribuito il cibo al tuo processo d’integrazione?” e “Come ti trovi con il cibo Italiano?” Ci ha risposto semplicemente: “Tutto è buono; qui tutto è buono…”.

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Victor: “Sono contento, qui!”

Siamo molto contenti che il suo rapporto con l’Italia e con il cibo italiano sia positivo e di avere una piccola parte di questo processo.

 

L’armonia nell’orto ha bisogno di tutti i suoi “abitanti”

Paola Galaverni Veronesi agricoltore, progettista di giardini e appassionata del colore e delle piante spontanee (I Giardini di Galaian), ci ha raccontato le pratiche che utilizza per coltivare: la più importante delle quali è il rispetto di tutti i viventi che abitano nell’orto.
      Paola ci ha spiegato che anche le “erbacce” e gli organismi “cattivi”, come insetti, funghi, ecc., sono parte dell’ecosistema del nostro orto, nel quale sono controllate/regolate dagli altri organismi: se accettiamo la loro presenza poiché fanno parte del nostro ambiente, non li guarderemo più come nemici e avremo un orto più “armonico”.  
      A lei non piace definire le pratiche agricole che utilizza come organiche: al di là delle parole e dei marchi, quello che conta è praticare un’agricoltura rispettosa dell’ambiente

Pratiche tradizionali ed ecologiche
Insieme al suo compagno Francesco, Paola lavora la terra usando pratiche ecologiche, quelle tradizionali dei vecchi contadini: la concimazione, la rotazione, la consociazione, la pacciamatura.
      Per concimare il terreno utilizzano pollina e poca calce (anche stallatico); questo viene fatto in autunno/inverno, in modo che il terreno, nutrito grazie all’attività dei microorganismi, sarà pronto per la primavera. 
     Per rigenerare i nutrienti del suolo e controllare le malattie fanno tre rotazioni all’anno in modo da assecondare i bisogni nutrizionali dei diversi ortaggi, perché alcune piante richiedono un’alta quantità di nutrienti, altre ne richiedono pochi, e altre ancora, al contrario, donano nutrienti al suolo (legumine, sovescio): ad esempio, dopo una coltura che richiede pochi nutrienti, piantano legumine e in seguito una coltura che richiede molti nutrienti (patata o cavoli).
     Una pratica che ci consiglia è la consociazione: ad esempio, la fragola beneficia di aglio o erba cipollina e simili per via delle loro proprietà fungicide; la calendula, coltivata in pieno orto, attira gli impollinatori a vantaggio degli altri ortaggi.  Il pomodoro, ci raccomanda Paola, va abbinato al tagete e al nasturzio, ma non va mai messo vicino alla patata.
       Last but not least, la pacciamatura è molto importante perché aiuta a trattenere l’umidità e protegge la vita nel terreno: Paola e Francesco utilizzano la paglia che, contrariamente alla plastica, con il tempo viene degradata, contribuendo a concimare il terreno. Le erbacce, ci assicura Paola, sono un’ottima pacciamatura.

Non sottovalutate le erbacce!
Inoltre, ci spiega che per prevenire e curare le malattie degli ortaggi si possono utilizzare anche delle piante e prodotti naturali: ad esempio, per controllare i funghi ci raccomanda il macerato d’ortica o equiseto, mentre l‘Euforbia lathyris produce un lattice tossico che tiene lontane le talpe (attenzione, però, ai bambini!).
       Ci raccomanda di osservare il comportamento della natura: “Le piante spontanee sono indicatrici del nostro ambiente“. Anche che  le cosiddette “erbacce” hanno un ruolo molto importante nell’orto, perché ci permettono di capire la qualità del nostro terreno: ad esempio l’ortica cresce in un terreno ricco di sostanze nutritive.
        In Italia, da sempre, le erbe spontanee sono state parte integrante della nostra cultura alimentare: all’arrivo della primavera servivano come integratori alimentari e come disintossicatori del corpo dopo l’inverno. Oggi, questa cultura è meno diffusa e mangiamo sfortunatamente solo un numero molto ridotto di verdure, frutta e animali.
   

Il prato me lo mangio
Per godere della generosità della natura in primavera, abbiamo chiesto a Paola di prepararci un risotto con ortica, lupino, plantago e foglie di malva, che abbiamo raccolto nel nostro parco.

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Paola Galaverni Veronesi è stata lo chef per più di otto anni di una locanda nel colline di Parma. Grazie Paola, il risotto era stupendo!

Conclusione

Il cibo è un bell’esempio d’integrazione, perché diffonde idee e culture, si integra e integra.
     È indispensabile per la sostenibilità del nostro pianeta e per la nostra esistenza riequilibrare il nostro stile di vita, pensando alle risorse della terra nel rispetto della biocapacità.
      Le diete sostenibili fortunatamente sono anche salutari per noi e per il nostro pianeta.
     Avere un lavoro dignitoso e la sicurezza d’una vita tranquilla è un ingrediente fondamentale dell’integrazione.
     Il rispetto di tutta la vita (piante, animali, batteri, funghi) è la chiave per la produzione sostenibile degli alimenti.
      Le erbacee e tutte le piante sono parte della natura e per avere un ecosistema sano non dobbiamo e sradicarle.
      La conoscenza delle piante spontanee ci premette non solo d’incrementare la biodiversità della nostra dieta, ma anche di apprezzare la generosità della natura.